Da secoli, addirittura da millenni la vita del cavallo è distintamente legata a quella dell’uomo. Fino all’avvento dei mezzi a motore tra il XVIII e il XIX secolo il cavallo è stato il mezzo di locomozione più utilizzato dall’uomo per il trasporto di persone e materiali, per l’utilizzo in tempi di pace e in tempi di guerra. Ne ha modificato il modo di combattere, basti pensare all’utilizzo dei carri da guerra egizi nei campi di battaglia dei primi insediamenti lungo il Nilo nei quali alla vigilia di ogni battaglia venivano rimosse tutte le pietre, anche le più piccole per permettere ai carri trainati da una pariglia di cavalli di sfrecciare con a bordo il cocchiere e l’arciere.
Se poi si pensa alle truppe d’elite degli eserciti antichi e fino alla prima guerra mondiale non si può fare a meno di pensare ai reparti di cavalleria romani, ai famosi Ussari, ai Dragoni ed ai lanceri. Altri esempi di quanto il cavallo abbia influito oltre che nella vita militare, anche in quella civile e nelle tradizioni di ogni popolo li possiamo ritrovare nella tradizione dell’alta scuola di equitazione spagnola, nella tradizione della caccia col falco in mongolia, nella nobile caccia alla volpe inglese e in quasi ogni continente civilizzato. L’addomesticamento del cavallo quale animale da lavoro e quale arma militare lo si può far risalire fino al 3.500 a.C. nelle zone dei fiumi Dneper e Don, nelle quali già queste popolazioni montavano i cavalli con l’ausilio di un rudimentale morso. Successivamente la storia del cavallo ha sempre accompagnato di pari passo quella dell’uomo sino ai giorni nostri diventando non più un mezzo necessario ma un semplice passatempo o sport attorno ai quali ruota una piccola ma ricca economia.
Ciò che non tutti però conoscono è che se la disciplina per eccellenza della monta “inglese” è arrivata oggi a certi livelli di performance e altezze, tale merito va ad un italiano e non agli inglesi, come banalmente si è portati a pensare. La tradizione equestre italiana risale al rinascimento e la si può individuare come il primo concetto di equitazione moderna. Già dai trattati di Giovan Battista Pignatelli, precursore di quella che oggi definiamo accademia equestre, nata nella zona di Napoli in epoca Borbonica, l’Italia è sempre stata protagonista, seppur poco riconosciuta a livello europeo dello sviluppo dell’arte equestre.
Ma è nel XX secolo che l’Italia svolge un ruolo fondamentale nella comprensione delle dinamiche dell’equitazione con l’invenzione vera e propria di quella che oggi chiamiamo “equitazione naturale”. Tale concetto ha rivoluzionato drasticamente l’idea della monta inglese ed in particolar modo del salto ostacoli definendo le linee guida per la doma, l’addestramento e la messa in sella dei cavalieri neofiti che ad oggi, seppur con lievi modifiche dettate dal progredire della tecnologia nell’attrezzatura equestre, permangono quasi invariate. Tale rivoluzione la dobbiamo al capitano di cavalleria Federico Caprilli che, alla fine del XIX secolo, osservando il superamento di ostacoli di cavalli scossi (cioè indotti al salto senza un cavaliere in groppa) si rese conto della necessità per il cavaliere di assecondare il movimento naturale dell’incollatura del cavallo perché potesse naturalmente superare ostacoli di gran lunga più alti di quelli sino a quel momento saltati dai cavalieri del tempo. I
nfatti secondo la tradizione e l’insegnamento delle scuole europee del tempo si credeva che, in prossimità dell’ostacolo, il cavaliere dovesse tirare le redini in modo da indurre l’animale a concentrare il suo baricentro sugli arti posteriori. Non era del tutto sbagliata come idea ma ne conseguiva che durante la parabola del salto il cavallo non potesse distendere il collo e di conseguenza non potesse adattare il suo baricentro allo sforzo necessario per superare altezze maggiori di 1mt.
Ovviamente questa innovazione nacque oltremodo dalla necessità di formare in tempi brevi nuovi cavalieri da inserire al più presto nei ranghi della Regia Cavalleria e da qui lo studio di tecniche adatte ad agevolare il più possibile il movimento del cavallo e, contrariamente alle tradizioni del tempo, far sì che il cavaliere utilizzasse il meno possibile e in maniera semplice i mezzi a sua disposizione per governare il destriero. Tale fu l’innovazione attuata dal cap. Caprilli che ogni corte europea inviò a Pinerolo una delegazione perché imparasse l’arte dell’equitazione naturale, ad eccezione della Francia, che in seguito copiò la tecnica Italiana senza però darne merito. Delegazioni giunsero dall’Inghilterra, dalla Germania, dal Giappone e da ogni parte del mondo e se oggi questo sport arriva a far saltare cavalli fino ad altezze superiori ai 2.70mt lo dobbiamo all’arguzia e alla perspicacia di un italiano: Federico Caprilli.